Archivi del mese: dicembre 2011

Il monastero del mondo

Sono mesi d’angoscia. Certamente non solo per me: la crisi economica, una mancanza di prospettive, persone che perdono il lavoro, imprese che chiudono, altre che avrebbero di che lavorare, se banche e creditori non le soffocassero. I genitori davanti alla scuola, gli amici, le persone incontrate per caso: vedo tutti spaesati. E ora?

Un governo non eletto. Non ho mai scritto una sola parola sul blog pro o contro Berlusconi, quando questo sembrava l’argomento obbligato. Ma ora devo dire semplicemente questo: un governo non eletto, guidato da un uomo non eletto. Ora, ognuno può farsi le sue idee sulla situazione politica italiana ed europea, ma che ogni mossa negli ultimi mesi sia stata fatta con la pistola puntata alle tempie, mi sembra fuor di dubbio.

Le famiglie sono allo sfascio, si rompono al primo urto, la scuola è allo sfascio, cade a pezzi non solo metaforicamente, molto spesso anche fisicamente. La popolazione invecchia senza ricambio, i figli sono un impegno (fisico, mentale, economico) che le famiglie si trovano a centellinare. La parola che viene in mente è: entropia. Tutto rallenta, si esaurisce, si raffredda e infine muore.

La cultura, la civiltà di cui facevamo parte, ha interrotto la sua catena di trasmissione: rimangono ancora tracce qua e là, ma sempre più sotto assedio, sempre più insignificanti e ignorate. Avevamo il pensiero razionale di origine greca, ma l’uso della ragione  per comprendere il mondo è sospeso: basta l’istinto, l’opinione, ognuno la vede come vuole, ognuno per sé, mondi impermeabili e indifferenti, per i quali non vale più nemmeno il vecchio adagio relativista “la mia libertà finisce dove inizia quella degli altri”. Macché, ogni libertà finisce dove si esaurisce la forza di imporla.

Avevamo il diritto romano, ma abbiamo alienato le facoltà decisionali dai popoli ai burocrati, dalla legislazione che difende i valori condivisi e il bene comune siamo passati alla legislazione dei desideri individuali e dell’irrilevanza collettiva. Ogni desiderio è legge, e se non lo è ancora oggi, lo diventerà. Mentre noi coltiviamo quest’ultima crapula da fine impero (contraccezione, aborto, droga, omosessualità, eutanasia: guardateli bene in fila i nomi delle nostre nuove libertà) non ci accorgiamo che queste stesse “libertà” sono un veleno che ci sta uccidendo. La libertà virile del cittadino romano, di fare il proprio dovere, servire lo stato e la famiglia, la libertà di chi vive per cose grandi, invece, è sempre più ostacolata. Non impossibile, ci rimane sempre la via del martirio, ma certo non facilitata.

Avevamo la tradizione giudaico-cristiana: un uomo non è un atomo di materia governato dal caso, ma una persona, un’entità materiale/spirituale, dotata per sua natura di strutture e regole interne. Avevamo il diritto naturale, chessò, almeno il rispetto per la vita, la proprietà, la famiglia. Per chi ci credeva, gli obblighi verso Dio. Ora siamo grumi di materia aggregati dal caso e riaggregabili a piacimento (voglio essere uomo, voglio essere donna, non voglio essere madre, voglio essere padre senza che ci sia una madre, voglio…).

Avevamo infine alcuni secoli di cultura, una tradizione letteraria, artistica, scientifica… il meglio che si poteva produrre. A un certo punto questa tradizione non ci è sembrata più un tesoro prezioso da trasmettere prima di tutto alle generazioni future, poi a chiunque volesse avvicinarla, ci è sembrata ingombrante, un gesto di presunzione, una situazione di vantaggio che andava annullata: in pochi decenni abbiamo fatto tabula rasa. Ora, che non rimane quasi più nulla, siamo diventati i paladini del multiculturalismo: difendiamo tutte le culture che troviamo, basta che non sia la nostra. Vegliamo sui diritti di tutti: musulmani, animisti, indù, buddhisti… Basta cancellare ancora un presepe, togliere ancora un crocifisso, ci stiamo facendo più in là, pazienza!, ancora un pochino e non ci saremo più. Stiamo lavorando perché le prossime generazioni non sappiano leggere le nostre opere letterarie e filosofiche, perché non conoscano nulla della nostra religione, perché scambino il pensiero tecnico, di cui sono stati sempre capaci  -chi più e chi meno – tutti i popoli della terra, con quello scientifico il quale, se permettete, era possibile solo in un certo humus culturale. Ancora un attimo, e non ci saremo più.

In questa angoscia, sempre più tangibile, rimane una speranza, però: ripensare alle origini della civiltà che vediamo languire, ricordarne gli inizi, le persecuzioni, i martiri, i monaci.

Dom Gérard Calvet scriveva: “I monaci hanno fatto l’Europa, ma non l’hanno fatta di proposito…”.

“Il loro obiettivo era: quaerere Deum, cercare Dio. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa”. (Benedetto XVI, Discorso pronunciato all’incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernardins, tenutosi a Parigi venerdì 12 settembre 2008).

Ecco, ogni volta che mi sporgo di più verso il mondo, ogni istante in cui mi lascio trascinare dalle mille cose da fare, persone da contattare, messaggi da mandare, ora anche tramite le nuove tecnologie, i social network, ecc… mi viene in mente questo quaerere Deum. E torna la voglia di ritirarmi nel mio monastero privato, fatto di cose da fare, preghiere da dire, parole importanti da leggere e meditare, persone a cui parlare con calma. In questo momento, in cui faccio così fatica a credere negli uomini, so che posso fidarmi di Dio. Dal monastero del mondo, voglio curarmi di un’opera sola, giocare tutto su un solo piatto: quaerere Deum. Il resto, si sa, è dato in sovrabbondanza.

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Farmi radici – ovvero, la mia storia

Sono senza radici, o forse le radici della mia generazione sono queste. Vengo dopo la guerra, dopo la lotta, successiva al boom economico, il ’68 è il mio anno di nascita, non evoca nessuna militanza, né di qua, né di là. Un padre e una madre scappati alle rispettive terre, alle rispettive povertà. Sradicati in una città operaia. Trasportati in una corrente demografica, prima generazione dall’immaginario pesantemente televisivo. Mettere su casa, il posto fisso, le vacanze al mare.

Sradicata figlia di sradicati. Nulla mi trattiene, tutto mi spinge, a sedici anni. L’inquietudine mi spinge, nulla mi trattiene. Vado decisa, incarno ogni idea che afferro, butto me stessa in un campo di forze, sono rigida, intransigente, estremista per definizione. Penso di inventare giorno per giorno un sentiero che invece è affollato.

Cosa cerca il cuore? Dove vuole ancorarsi? Quante volte sogna di cadere in ginocchio?

Non rinnego niente, se il percorso che ho fatto doveva portarmi qui. Anzi, se qualcosa ho rinnegato, è il momento di riaccoglierlo, di pacificarmi.

Soprattutto ringrazio di avere avuto un cuore grande (la testa invece così e così), tanto da sentire sete di cose grandi, da volere tutto, da cercare senza mezze misure. Ho avuto sete fino a quando non ho trovato un fiume vivo, un albero con radici eterne, una storia che andava ben oltre la mia, ricca di bellezza e verità.

Oggi guardo i miei figli e vorrei farmi  radici per loro, vorrei che la nostra famiglia fosse il loro luogo di innesto su questo albero vivo. Vorrei trasmettere loro ciò che viene da lontano, non le foglie caduche che si rinnovano ad ogni stagione, ma la linfa, ciò che non muta. Vorrei essere in grado di insegnare loro che ci sono parole che l’uso consuma, che diventano trasparenti e prive di significato, altre invece si trasformano in perfette pietre levigate, acquistano senso e cuore ad ogni passaggio. Vorrei aiutarli a scoprire queste parole, un linguaggio liturgico, un senso sempre più vasto rispetto ai termini che vogliono esprimerlo.

Vorrei dir loro che il tempo è prezioso e dovremo renderne conto, portarli via dalla città, concedere spazio e tempo alle anime.

Farmi radici per loro.

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Fuoco al mondo!

Fiunt non nascuntur, Christiani

(Tertulliano)

Per abitudine, evito le librerie cattoliche come la peste, sono diffidente verso l’ora di religione cattolica nelle scuole, guardinga nei confronti dei corsi di catechismo parrocchiali.

Contravvenendo alle mie idiosincrasie, qualche mattina fa sono entrata in un libreria cattolica, complici il freddo, una mezz’ora d’attesa e una collocazione dietro l’angolo rispetto al luogo del mio appuntamento. Avrei dovuto conoscermi meglio, perché è subito iniziato il travaso di bile.

In bella vista, nel punto più centrale e di rilievo del negozio, c’erano pile di libri di Vito Mancuso: l’ultimo e il precedente, per non far torto a nessun aspetto del Mancuso-pensiero.

Attorno, Piergiorgio Odifreddi, Hans Küng Salviamo la chiesa, Enzo Bianchi in tutte le salse e quest’ultimo, ho dovuto ammetterlo, sembrava il più tradizionalista della compagnia. Mi giro e vedo un’opera dell’ingegno di Roberto Giacobbo Aldilà. La vita continua? – il punto interrogativo è di rigore -, una biografia di Marilyn Monroe – il cui risvolto di copertina ci informa entusiasta come sia l’unica scritta da una femminista -,un libro per bambini in versi sul Risorgimento, che declama le eroiche virtù di Giuseppe Garibaldi, un agile volumetto dal titolo Dall’homo sapiens all’homo strunz, il quale, per gli evidenti fini satirici, rischiava di essere il meno dannoso del gruppo, ma non ho avuto cuore di verificare.

Il libro di Costanza mancava; vediamolo in positivo: forse l’avevano appena terminato. In compenso era presente in numerosi esemplari L’educazione delle fanciulle, di Luciana Littizzetto.

Mi son detta che probabilmente il settore novità è obbligato a proporre alcuni testi di cui si parla nei mezzi di comunicazione, non foss’altro che per fini economici e diritto di informazione. Meglio passare al catalogo. Arrivo a scaffale e vedo un solo libro messo in evidenza: Quando i cristiani perseguitarono i pagani. Storia nascosta del cristianesimo violento. Ecco, questo è stato esattamente il punto in cui è iniziata a mancarmi l’aria e sono dovuta uscire.

Cambio scenario: incontro di catechismo per ragazzi di prima media, in preparazione alla Cresima. Dopo anni di schede da colorare, discorsi generici, candeline, girotondi, cartelloni, film da vedere e canti da preparare, pare che qualcuno si sia accorto che questi ragazzi non hanno imparato proprio niente, dico NIENTE. Eh no, qui bisogna correre ai ripari. “Noi continuiamo con le candeline ma, a parte, vi diamo un foglio con le cose minime che dovreste sapere: cos’è la Bibbia, chi è Abramo, chi è Mosè”. A 11 anni? Alle opere di misericordia corporale ci arriviamo per l’età della pensione? O forse, con più probabilità, mai. E la Messa? Ok, il popolo di Dio, l’incontro, la Parola, l’assemblea… ma la vogliamo dire una volta la parola Sacrificio, a questi ragazzi? No, sembra di no.

Altro cambio di scenario: ora di religione a scuola. Senza parlare di conoscenti e amici, solo per esperienza diretta dei miei figli, negli anni ho raccolto numerose chicche:

–          “ricordati di santificare le feste” non è un comandamento che sancisce un dovere verso Dio (questa risposta è stata esplicitamente segnata come errore), ma verso il prossimo (come dire: ricordati di andare alle feste);

–          “alle famiglie vorrei dire che non si preoccupino, non tratteremo del Natale solo dal punto di vista cristiano, ma anche da quello ebraico e islamico” (?);

–          “questo è uno spettacolo di Natale, ma non vuole avere significati religiosi”;

–          per l’interrogazione di terza liceo classico potete leggere Karol Wojtyla o Karl Barth (la discriminante sarà il nome che inizia con la K?).

Mi fermo qui, ma solo per motivi di spazio. Diciamo che gli insegnanti di religione dei miei figli che ho preferito, nel corso del tempo, sono stati quelli che non hanno insegnato nulla. Sempre meglio della dis-educazione.

Cos’hanno in comune questi episodi?

Il fatto di essere tutti intimamente collegati alla nostra formazione cristiana e a quella dei nostri figli.

Tertulliano diceva che non si nasce, ma si diventa cristiani. La nostra non è una religione etnica e neppure una tradizione nazionale: per un certo periodo è stata, certo, anche un po’ queste due cose ma, nell’essenza, ogni generazione va nuovamente educata da zero al cattolicesimo, va avvicinata a Cristo con la mente, il cuore e l’anima, pena una generazione di pagani o semi-cristiani, incapaci di impadronirsi da soli di tutta la bellezza e la profondità che il cattolicesimo porta in sé.

La mia generazione è stata forse la prima a essere catechizzata a candeline e cartelloni (e a chi tenti da ciò di evincere l’età, eccolo servito: sono nata nel 1968), e infatti siamo mediamente digiuni di ogni concetto preciso in fatto di religione – a meno di aver fatto esperienze personali particolari, o avuto famiglie fortemente devote, essere passati da conversioni, gruppi di preghiera, movimenti, ecc.

I nostri figli sono messi peggio di noi ma, ancora oggi, il catechismo e l’ora di religione continuano sulla stessa linea esperienzial-sentimentale in voga ai miei tempi.

 I libri che si trovano nelle librerie cattoliche, probabilmente, sono quelli su cui si formano i nostri dubbiosi catechisti, i tormentati sacerdoti, i problematici professori di religione. Tutti lamentano lo status quo, ma nessuno dice a chiare lettere: abbiamo sbagliato, volevamo rendere la fede un fatto vissuto più pienamente, meno nozionistico, più vicino, e l’abbiamo semplicemente sradicata dalla società -salvo foglietti d’emergenza un attimo prima della Confermazione -.

Sua Santità Benedetto XVI, alle Giornate Mondiali della Gioventù di quest’anno, a Madrid, ha ricordato ai giovani una frase di santa Caterina da Siena: «Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo». Da far tremare i polsi.

Ecco, noi genitori, educatori, catechisti, maestri, siamo ciò che dovremmo essere?

Ci siamo accorti che un mondo è finito, che siamo minoranza, che non possiamo semplicemente vivacchiare su posizioni acquisite, ma dobbiamo ri-evangelizzarci e ri-evangelizzare? Non sono io a dirlo, è stato uno dei temi portanti già del pontificato del beato Giovanni Paolo II, ma è sempre bene ripeterlo.

Insomma, I have a dream: librerie cattoliche, catechismi ben fatti, ore di religione cattolica davvero cattoliche. E famiglie che ricomincino a prendere su di sé la responsabilità dell’educazione, anche religiosa, dei propri figli.

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Calendario dell’Avvento

Anche questa tradizione, di origine tedesca, come la corona dell’Avvento, ha origini non antichissime. Direi che tutte le celebrazioni del Natale di stampo “borghese”, come quelle che viviamo noi in occidente, non hanno di fatto più di un secolo, al massimo un secolo e mezzo. Ancora mia madre mi racconta dei suoi Natali d’infanzia, quando i doni non esistevano e la festa consisteva nella messa di Mezzanotte, nella cena di magro, nel pranzo del 25 dicembre con i dolci tipici e i mandarini. Il presepe si faceva in chiesa, o nelle case dei benestanti. In certi paesi passavano gli zampognari e doveva essere un momento incantato.

Qualche dono (caramelle e magari un paio di scarpe o una maglia, se servivano) lo portava la Befana.

Coerentemente con il desiderio di rallentare, di raccoglierci davvero in una dimensione più intima, di attesa e di incanto, il nostro calendario dell’Avvento quest’anno sarà un po’ meno materiale e un po’ più spirituale. Userò lo stesso calendario di mia fabbricazione che uso ormai da anni, anche perché non amo che le cose cambino ogni anno, mi piace creare delle tradizioni di famiglia (anche piccole tradizioni), che scandiscono meglio i tempi dell’anno e il clima festivo, che abbiano un gusto particolare nell’essere vissute nell’immaginazione, attese e poi riconosciute.

Piuttosto, preferisco fare piccole modifiche, un’aggiunta qui, un cambiamento lì… come quest’anno, appunto. Ho preferito non caricare il calendario di dolciumi e di tanti piccoli oggettini: i dolciumi dopo il terzo giorno consecutivo danno il mal di pancia, e anche gli oggetti – l’ho già detto – a loro modo finiscono con il dare la nausea. Per non contare che il 16 dicembre è il compleanno di Caterina e il 25 ricevono sempre e comunque troppo. Così ho scelto storie, racconti, poesie, ho aggiunto qualche bella immagine e le ho stampate una per foglio, i fogli sono stati arrotolati e legati da un nastro di raso. Si alternano a caselle che prevedono dei cioccolatini – doverosi – e altre (poche) dei piccoli pensierini (soprattutto materiale di cancelleria, che qui va per la maggiore).

(Originariamente pubblicato il 26 novembre 2010)

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