Blog chiuso

Poco alla volta, trasferirò su www.canoneoccidentale.it i contenuti che considero ancora attuali e significativi. Scrivo talmente poco, che non ha più senso tenere aperti due blog: questo rimane solo come ricordo, soprattutto delle persone che sono passate di qui e con cui si è conversato.

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Introibo ad altare Dei

Abbiamo montato il nostro altare coram Deo (cioè orientato verso Dio, a est e nel Tabernacolo).

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Ora possiamo parlare della Messa, dei paramenti e degli arredi liturgici.

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E ripassare le parti della Messa e l’anno liturgico.

Bello, vero? Se vi interessa si trova qui e, per ordinarlo dall’Italia, potete provare qui.

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Ai genitori del nostro tempo

I giovani sacerdoti Georg e Joseph Ratzinger con le famiglia nel 1951.

I giovani sacerdoti Georg e Joseph Ratzinger con la famiglia nel 1951.

“Questa devozione, vissuta e praticata intensamente, caratterizzò tutta la nostra vita […] per noi bambini era un’abitudine che ci fu insegnata per così dire fin dalla culla e a cui rimanemmo sempre fedeli. Sono convinto che la mancanza di questa religiosità tradizionale sia uno dei motivi per cui oggi ci sono sempre meno vocazioni sacerdotali. Nella nostra epoca molti sono più propensi a una certa forma di ateismo che ad accogliere la fede cristiana. Di tanto in tanto amano praticare una specie di culto che però risulta incompleto, magari frequentano ancora la chiesa nelle occasioni di festa, ma questo sentimento superficiale non pervade la loro vita, non porta nulla nel loro quotidiano. Prima si mettono a tavola e cominciano a mangiare senza nemmeno pensare di recitare una preghiera e poi finiscono per non andare più a messa. Presto cominciano a vivere come dei pagani. In famiglia non sono stati abituati a curare la vita spirituale e questo atteggiamento si ripercuote sul resto della loro esistenza. Spesso parlo con altri sacerdoti e quasi tutti mi dicono che durante l’infanzia pregavano regolarmente con i genitori e partecipavano insieme alle funzioni. Questo ha influenzato tutta la loro vita e li ha avvicinati a Dio, spingendoli verso un fine in grado di produrre molti buoni frutti.”

Georg Ratzinger con Michael Hasemann, Mio fratello il Papa, Piemme, Milano 2012

 

 

“Quando iniziava il Kyrie era come se si aprisse il Cielo”

“E, per dire la verità, se cerco di immaginare un po’ come sarà in Paradiso, mi sembra sempre il tempo della mia giovinezza, della mia infanzia. Così, in questo contesto di fiducia, di gioia e di amore eravamo felici e penso che in Paradiso dovrebbe essere simile a come era nella mia gioventù. In questo senso spero di andare «a casa», andando verso l’«altra parte del mondo».”

Benedetto XVI, Intervento al VII incontro mondiale delle famiglie, Milano 2 giugno 2012, il testo completo si trova qui.

 

 

 

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Instant Eggs

Quest’anno abbiamo provato una variante rapida e minimale alle solite uova decorate per la Pasqua.

Bastano alcune uova sode e dei pennarelli tipo Uniposca. Secondo me sono particolarmente adatte per una decorazione in tinta unita.Immagine

L’idea è stata presa qui.

Enjoy!

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Lettera aperta a Benedetto XVI

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di Ivan Quintavalle

Mio dolce Benedetto, sono giorni strani sa?! C’è una strana atmosfera da queste parti.

L’euforia è tanta, il mondo sembra improvvisamente in via di conversione. Forse è proprio così, lo spero vivamente. Eppure, io, non riesco ad essere allegro.

Poco importa. Ma cerco di capire il perché. Stanotte, ho cercato di fare chiarezza nel mio cuore. Purtroppo, non avendo la sua santità, non posso vivere tutto questo con la sua stessa serenità d’animo.

Ebbene, nella lotta contro l’insonnia, ho capito il perché di questa sottile tristezza. La causa principale di questo mio mal d’animo è la mia ingratitudine. Forse è il male più evidente di ogni uomo, ed è il male che più di tutti mi rende meno uomo. Siamo tutti euforici per questi giorni di ritrovata povertà, eppure già non pensiamo più a lei,  che in questo momento è il più povero di tutti.

Lei che ha scelto la solitudine e il silenzio, lei la sua povertà non ama mostrarla al mondo. Perché lei, non ha mai voluto sbandierare le sue virtù. Lei, le sue virtù le ha messe al servizio di tutti noi e della Chiesa di Cristo. Le sue virtù le ha esercitate in modo così discreto e impersonale da non farle sembrare sue.

Come sono stato ingrato e poco amorevole nei suoi confronti!

Ho dubitato della sua scelta, tentato per un momento nel riconoscervi un atto di codardia. E invece, questi giorni rifulgono ancora della sua grandezza. Anzi, la chiarificano, ma in modo invisibile. Lei, Santità, ha scelto il nascondimento, la clausura.

Quanta grandezza, quanto coraggio. Nessun amor proprio. Solo la Croce. Noi, continuiamo a far confronti. Li abbiamo fatti con il suo amato predecessore Giovanni Paolo II, mentre lei scriveva silente pagine memorabili del magistero della Chiesa.

Li facciamo ora, mentre lei con la sua volontaria assenza, scrive la sua enciclica più bella. Quella sull’umiltà. Oggi è il suo onomastico, mio amato Benedetto. La prego di perdonarmi per la mia ingratitudine, ma soprattutto per la mia mancanza di Fede.

Le auguro giorni felici, mi impegnerò ad essere un figlio migliore per Papa Francesco, più di quanto lo sia stato per lei.

In Cristo,

Ivan Quintavalle

 

reblogged from: http://costanzamiriano.com/2013/03/19/lettera-aperta-a-benedetto-xvi/

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San Michele Arcangelo

Oggi è la festa liturgica degli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele.

San Michele in particolare è il capo delle schiere celesti, colui che cacciò Satana dal Paradiso e a cui tradizionalmente si attribuisce il compito di pesare le anime al momento del giudizio (la sua iconografia lo rappresenta il più delle volte con spada e armatura, in altre occasioni con una bilancia in mano). A san Michele ci raccomandiamo pregando il rosario

Sancte Michael Archangele, defende nos in proelio; ut non pereamus in tremendo iudicio

C’è anche una versione più lunga della preghiera a san Michele

Sancte Michael Archangele,

defende nos in proelio;

contra nequitiam et insidias diaboli esto praesidium.

Imperet illi Deus,

supplices deprecamur: tuque,

Princeps militiae caelestis,

Satanam aliosque spiritus malignos,

qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo,

divina virtute in infernum detrude.

Amen.

(San Michele Arcangelo, difendici nella lotta; sii nostro aiuto contro la cattiveria e le insidie del demonio. Gli comandi Iddio, supplichevoli ti preghiamo: tu, che sei il Principe della milizia celeste, con la forza divina rinchiudi nell’inferno Satana e gli altri spiriti maligni che girano il mondo per portare le anime alla dannazione. Amen.)

Per alcuni si tratta di un simbolo, e può certamente affascinare anche così, per noi si tratta di una splendida realtà. Oggi parleremo di san Michele con i bambini, guarderemo immagini, racconteremo storie e pregheremo insieme, sabato prossimo ci recheremo qui:

…alla Sacra di san Michele, in val di Susa. Con un gruppo di amici faremo un pellegrinaggio e saliremo pregando dai piedi del monte, parteciperemo alla santa Messa e poi pranzeremo in compagnia nella foresteria della Sacra. La Sacra, le cui origini risalgono circa agli anni attorno al 1000, fu costruita in seguito a una visione. La leggenda vuole che la prima fondazione fosse stata avviata sul monte di fronte, ma gli angeli nottetempo sottraevano i materiali faticosamente portati in cima al monte, per trasportarli sul monte Pirchiriano (dove ora sorge la Sacra). La sua collocazione sulla via francigena la collega idealmente a San Michele sul Gargano e a Mont Saint-Michel in Francia. La porta dello zodiaco è opera dello scultore Niccolò (XII secolo), che lavorò anche alla basilica di san Zeno, a Verona.

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Appello per la Parrocchia di San Giovanni Battista (L’Aquila)

 Reblogged from filia ecclesiae – carpe gratiam:

Rilancio questo appello dell’amica Maria Cristina Teti.

Cari amici, mi trovo in grande difficoltà a scrivere ciò che leggerete. Con il timore di non riuscire a rappresentare adeguatamente la situazione con conseguente rischio di fraintendimento. Vi prego di farmi credito della totale buona fede, non farei questo se non fosse necessario tentare ogni strada.
Oggi pomeriggio il mio parrocco, don Ramon Mangili, bergamasco doc ma con il cuore ormai aquilano, ha convocato tutti i collaboratori parrocchiali, si pensava per un anticipato rinizio d’anno. Purtroppo la realtà è stata diversa, un cazzotto dal quale ancora dobbiamo riprenderci. Necessita una breve premessa. Sapete che sono aquilana, e quindi “terremotata” ( virgoletto perchè ormai è diventato uno status sociale, e la cosa mi ripugna). La mia chiesa parrocchiale è inagibile da quel dì di 3 anni fa, e da ottobre 2009 abbiamo una grande tensostruttura donataci dal Comune di Roma, che con il tempo abbiamo cercato di rendere il più possibile somigliante ad una Chiesa. E ci siamo riusciti. Abbiamo il Tabernacolo, e perfino un confessionale!! L’interno è stato rivestito di legno, curiamo i fiori all’esterno e quest’estate uomini di buona volontà hanno anche costruito una tettoia esterna sempre in legno per evitare che quando piove non entri l’acqua fin dentro.
Ma la grande nevicata dell’inverno passato ha messo a dura prova la struttura, che ha ceduto in alcuni punti sul tetto, ma ciò che è peggio è che per evitarne il crollo il riscaldamento ( che va a gasolio) è stato acceso giorno e notte per 2 mesi circa, il tutto per 6.000 € che si sono sommati ad una situazione economica drammatica. Questo tendone tra Enel e riscaldamento, insieme ai 5 container che abbiamo per le nostre attività di catechismo e quant’altro, ha un costo esorbitante che ormai non riusciamo più a gestire. Non abbiamo più soldi, e la Curia aquilana non può aiutarci. Su questo non chiedetemi nulla, preferisco tacere per misericordia.Da qui la decisione di don Ramon: se non si torvano fondi dovremo smontare la tensostruttura prima dell’inverno. Non avremo più una chiesa, nella parrocchia più grande dell’Aquila.
Ora potrei scrivere pagine e pagine sull’emergenza sociale e giovanile di questa città dimenticata, sull’importanza di una parrocchia come la nostra che ha ricominciato a lavorare dal maggio 2009 nelle tendopoli del quartiere ( ben 4!!!) con scuola estiva, attività ludiche, messa quotidiana, sostegno agli anziani. Potrei deliziarvi ( si fa per dire) con racconti dell’orrore su tredicenni che si prostituiscono nei centri commerciali, o si ubriacano in un centro che è morto, dove le famiglie sono disgregate, gli anziani si suicidano, tutto nel più totale silenzio. Ma questo è niente al pensiero che una comunità di quasi 8.000 persone non avrà una Chiesa dove celebrare l’Eucarestia, fosse anche un tendone. Ormai ci siamo affezionati, è diventata la nostra Casa comune, con il freddo gelido o il caldo insopportabile, sempre lì, ciascuno secondo i propri carismi e il proprio tempo, a lavorare per il Signore. Ecco, questo è il dramma vero della mia parrocchia. Perchè vi scrivo? Perchè chi può, chi vuole, chi se la sente si faccia promotore presso la propria parrocchia, o un gruppo di preghiera o un’associazione etc etc per darci una mano. Ci servono soldi, e io mi sento morire a scrivere questa cosa in un momento di crisi per tutti, ma vi prego, aiutateci a poter mantenere la nostra Tenda-Chiesa. A svernare anche questa volta, e poi Dio provvederà. In questi 3 anni il nostro parroco è stato una roccia, e se la comunità, anche se a fatica, si sta ricompattando è perchè davvero don Ramon è stato prezioso strumento nelle mani del Signore per tutti noi. Oggi abbiamo visto un uomo affranto, dispiaciuto, lì lì’ per mollare tutto. Non riesco, stranamente perchè la parola scirtta mi è congeniale più di quella parlata, a darvi contezza del sordo dolore che proviamo: la maggior parte di noi ha perso davvero tanto quella maledetta notte, e quella Chiesa a foma di Tendone, che nulla ha di artistico ma dove è contenuta l’opera mirabile di Dio che è suo Figlio fattosi carne per noi, è stata in questi 3 anni IL punto di riferimento, il faro, la luce nel buio del dolore e dello smarrimento.
Sentitevi liberi amici, di rispondere o meno, a tutti o solo a me, A nome della comunità di San Giovanni Battista di L’Aquila vi ringrazio perchè so comunque che pregherete per noi perchè si manifesti la Provvidenza in questa situazione. E se qualcuno di voi vuole/può farsi strumento di tale provvidenza, non potemmo mai finire di ringraziarlo. Una sottoscrizione nel quartiere, o una piccola raccolta in parrocchia, o nel luogo di lavoro…..l’oceano è fatto di gocce diceva una grande santa,e ogni goccia è importante.
Chi volesse saperne di più, per avere dati precisi, e una rappresentazione puntuale della situazione, non ha che da chiedermi il cellulare e/o l’email di don Ramon. Io di più non voglio sapere. Grazie per l’attenzione, e soprattuto pregate per noi. Che Dio vi benedica davvero, perchè so nel mio cuore che ognuno di voi ci sarà vicino come potrà.E se sarà nella preghiera, sarà già tutto.

Un abbraccio in Cristo
Maria Cristina Teti

Leggi anche la lettera del parroco don Ramon Mangili sulla situazione della parroccha: http://www.sangiovannibattista.eu/?p=1370

Per contattare don Ramon: http://www.sangiovannibattista.eu/?page_id=56

Codice IBAN della Parrocchia San Giovanni Battista: IT 62 L 0539 003600 000 000 000 470

http://www.sangiovannibattista.eu/?p=424

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Benedetto e Totila

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Di tanti gesti, tanti miracoli, tanti insegnamenti contenuti nella Sancta Regula, vorrei oggi ricordare un episodio della vita di san Benedetto, che mi ha sempre commossa profondamente.

San Gregorio Magno, nei Dialoghi, racconta:

«Al tempo dei Goti, il loro re Totila, avendo sentito dire che il santo era dotato di spirito di profezia, si diresse al suo monastero. Si fermò a poca distanza e mandò ad avvisare che sarebbe tra poco arrivato. Gli fu risposto dai monaci che senz’altro poteva venire.

Insincero però com’era, volle far prova se l’uomo del Signore fosse veramente un profeta. Egli aveva con sé come scudiero un certo Riggo: gli fece infilare le sue calzature, lo fece rivestire di indumenti regali e gli comandò di andare dall’uomo di Dio, presentandosi come fosse il re in persona. Come seguito gli assegnò tre conti tra i più fedeli e devoti: Vul, Ruderico e Blidino, i quali, in presenza del servo di Dio, dovevano camminare ai suoi fianchi, simulando di seguire veramente il re Totila. A questi aggiunse anche altri segni onorifici ed altri scudieri, in modo che, sia per gli ossequi di costoro, sia per i vestiti di porpora, fosse giudicato veramente il re.

Appena Riggo entrò nel monastero, ornato di quei magnifici indumenti, e circondato dagli onori del seguito, l’uomo di Dio era seduto in un piano superiore. Vedendolo venire avanti, appena fu giunto a portata di voce, gridò forte verso di lui: “Deponi, figliolo, deponi quel che porti addosso: non è roba tua!”. Impaurito per aver presunto di ingannare un tal uomo, Riggo si precipitò immediatamente per terra e, come lui, tutti quelli che l’avevan seguito in questa gloriosa impresa.

Poco dopo si rialzarono in piedi, ma di avvicinarsi al santo nessuno più ebbe il coraggio. Ritornarono al loro re e ancora sbigottiti gli raccontarono come a prima vista, con impressionante rapidità, erano stati immediatamente scoperti.

Totila allora si avviò in persona verso l’uomo di Dio. Quando da lontano lo vide seduto, non ebbe l’ardire di avvicinarsi: si prosternò a terra. Il servo di Dio per due volte gli gridò: “Alzati!”, ma quello non osava rialzarsi davanti a lui. Benedetto allora, questo servo del Signore Gesù Cristo, spontaneamente si degnò avvicinarsi al re e lui stesso lo sollevò da terra. Dopo però lo rimproverò della sua cattiva condotta e in poche parole gli predisse quanto gli sarebbe accaduto. “Tu hai fatto molto male – gli disse – e molto- ne vai facendo ancora; sarebbe ora che una buona volta mettessi fine alle tue malvagità. Tu adesso entrerai in Roma, passerai il mare, regnerai nove anni, al decimo morirai”. Lo atterrirono profondamente queste parole, chiese al santo che pregasse per lui, poi partì. Da quel giorno diminuì di molto la sua crudeltà.

Non molto tempo dopo andò a Roma, poi ritornò verso la Sicilia; nel decimo anno del suo regno, per volontà del Dio onnipotente, perdette il regno e la vita».

La superbia del re goto non sottomessa dalla spada, ma dall’autorità morale di un monaco, il ginocchio delle popolazioni barbariche che si piega davanti alla regalità di Cristo, la mitezza che conquista la forza. Ecco un frammento di ciò che rappresenta san Benedetto, nel passato, presente e – spero – soprattutto nel futuro d’Europa.

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Premi

In questi giorni ho ricevuto due “premi” di quelli che circolano per il web. Immeritatamente, mi viene da dire subito, perché sono davvero scostante nell’aggiornamento di entrambe le mie trascuratissime creature.

In ogni caso, sto al gioco e provo a ricevere le menzioni e a ringraziare chi ha la gentilezza di seguirmi.

In primo luogo Martina, di http://leportedellaterradimezzo.blogspot.it/, la quale ha consegnato al mio Canone Occidentale il premio Blog 100% affidabile

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I requisiti per ricevere il premio sono i seguenti:

1) È aggiornato regolarmente.
2) Mostra la passione autentica del blogger per l’argomento di cui scrive.
3) Favorisce la condivisione e la partecipazione attiva dei lettori.
4) Offre contenuti e informazioni utili e originali.
5) Non è infarcito di troppa pubblicità.

Sul primo requisito è meglio sorvolare, per il resto valutate voi.

Mi si chiede quando e perché ho deciso di aprire quel blog: direi che è stata una crescita “organica” di Perfectio Conversationis. Ormai la riflessione su alcuni temi stava diventando ricorrente e rischiava di dare un carattere mono-tematico a questo blog che invece voleva situarsi nel punto di incontro di diversi piani della mia vita. È stato naturale quindi “stralciare” le riflessioni più specifiche su scuola, cultura, trasmissione del sapere, per farne un blog più specifico.

Il secondo premio che mi viene gentilmente assegnato è il Liebster Blog, da parte di Ste di http://maghelladicasa.blogspot.it/

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Le regole da rispettare per accettare il premio sono:

– la segnalazione sul proprio sito di 5 blog con meno di 200 lettori, evidenziando i rispettivi link;

– lasciare un commento su questi blog per avvisarli del premio;

– ringraziare chi vi ha assegnato il premio (nel mio caso Ste, appunto: grazie!);

-condividere con i lettori 5 cose su di sé che le persone non conoscono, eccole:
1) La prima cosa che faccio sapere è che non so se voglio far sapere 5 cose di me;
2) in ogni caso, sono una collezionista, cultrice e appassionata di profumi;
3) una volta mi piaceva nuotare, ora se posso lo evito;
4) sono figlia unica e ne ho sempre approfittato troppo;
5) capita spesso che la notte io sogni ciò che mi rende felice.
Dovrei a mia volta consegnare un premio o l’altro, poi andare sulle bacheche degli interessati per darne comunicazione… preferisco invece ricordare un post in cui segnalavo alcuni blog che seguo con maggior frequenza. Tra quelli stranieri, una segnalazione particolare a http://wildflowersandmarbles.blogspot.it/: sempre pieno di idee, splendide foto e spunti da rubare!

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La triplice cinta (replay)

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Il post che segue è apparso alcune settimane fa sul blog di Costanza Miriano, qui, e faceva parte di un dittico insieme a un post dell’amico Cyrano, che potete leggere qui.

Per consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità

 

(Fabrizio De Andrè, Smisurata preghiera)

 

C’è una libertà splendida, di cui non sono capace.

Libertà di zingari fedeli, con le loro Madonne dipinte su carri colorati, processioni fatte di canti selvaggi e fiori e conchiglie. Una libertà da giullari di Dio, semplici, spogli, felici. Anime slave, che reggono l’ebbrezza e il dolore, velate di tristezza nella gioia e di gioia nella sofferenza.

C’è una libertà di spiriti grandi, temerari, capaci di avventure estreme, di visioni, danze e battaglie. Una libertà di anime immense e bambine, che non tengono nulla per sé. Ho intravisto questa libertà nello splendore e so di non esserne capace. Se ci provo, cado subito, sbando, mi perdo.

A me servono confine, regola, ripetizione, metrica. Più minerale che organico, più romanico che barocco. Conto sulla bontà della regola, ché già faccio fatica a seguirla. Al rischio della libertà il cuore risponde con l’ennesima prostrazione. Forse è un peccato, non si tratta soltanto di poca fiducia in me stessa, ma anche di poca fiducia in Dio? L’eventualità è concreta.

Come un naufrago, mi tengo attaccata stretta a pochi relitti, sperando di aver scelto bene, che le forze durino e i soccorsi arrivino.

Circoscrivo l’uso della libertà, sapendo che i rischi sono enormi. Forse non è un bello spettacolo, per chi guarda dalla costa, eppure mi basta che i soccorsi arrivino in tempo. Voglio salvarmi, non è detto che riesca a farlo con stile.

In questa dialettica, tra una libertà che è un bene, ma difficile, e una regola, che viene in soccorso, sulla quale impegnare un pezzo di quella stessa libertà, si colloca per me il discorso sui recinti, così come quello su pudore e trasparenza.

«Or dunque, la triplice cinta […] è presente anzitutto come l’ideogramma della portata della Redenzione nel piano universale.

Ciascuno sa che, […] nella simbolica cristiana delle figure geometriche, il Quadrato rappresenta il Mondo, che è letteralmente laMappa Mundi, la tovaglia del mondo, il nostro “mappamondo”, il planisfero terrestre e celeste. Detto questo, tre quadrati inscritti l’uno dentro l’altro, con centro unico, ovvero formanti un solo e medesimo insieme, rappresentano i tre Mondi dell’Enciclopedia del Medioevo, il Mondo terrestre in cui viviamo, il Mondo del firmamento in cui gli astri muovono i loro globi radiosi in immutabili itinerari di gloria, infine il Mondo celeste e divino in cui Dio risiede assieme ai puri spiriti». (Louis Charbonneau-Lassay (1871-1946),Le Pietre Misteriose del Cristo, a cura di PierLuigi Zoccatelli, Roma 1997).

Il simbolo della triplice cinta è ampiamente diffuso, dai graffiti rupestri della Val Camonica ai chiostri di mezza Europa; i cavalieri Templari lo graffiarono sui muri durante la loro prigionia nel castello di Chinon.

È uno di quei simboli atavici, che precedono il (e forse alludono al) cristianesimo. L’uomo. Il cosmo. Dio. Oppure: la terra, il cielo, Dio. Tutti gli infiniti riverberi che hanno l’esistenza dell’uomo e la Salvezza di Cristo.

La triplice cinta è, ovviamente, anche un recinto, un modo per sistemare in uno schema qualcosa di molto più grande.

Si tratta della triplice cinta del cuore, da custodire e donare, con estrema cautela e assoluta generosità, della mappa del mondo, che è uno strumento per orientarsi, volgersi ad Orientem, come avviene appunto nella liturgia cristiana, verso il sole-Cristo che sorge: una traccia per procedere nel pellegrinaggio delle  nostre esistenze, un modo per ridurre le infinite varianti, possibilità, organicità della vita e trasformarle in un sistema, un tracciato, un percorso, da qui a lì, dalla terra al Cielo, una chiusura di strade laterali, che è apertura verso l’alto. La triplice cinta, infine, è simbolo della Gerusalemme Celeste.

Il confine, il recinto, l’hortus conclusus. Cioè, monasticamente, il chiostro: uno spazio chiuso al mondo, ma aperto al Cielo e a Dio.

La via della natura e quella della Grazia s’intrecciano, la seconda presupponendo e superando la prima. Il cristianesimo è anche una religione cosmologica, orientata, incarnata. Non dimentica la direzione da cui sorge il sole, il valore del fuoco e dell’acqua, del vino e del pane, del sangue e della luce. Non perde il senso del corpo, l’istinto, la forza della passione, ma sa cavallerescamente domarli e orientarli. 
Non si tratta di scegliere se perdersi in una natura panica e senza limiti o di chiudersi a chiave e negarla del tutto, rinnegarla e umiliarla: al contrario. Nella liturgia la natura assume un ordine, un’origine e un fine, un disegno sensato che nobilita e redime anche l’organico, un disegno che chiaramente non potremmo vedere dal fondo di una corrente che ci trascina, ma solo dal baluardo di una vetta che ci innalza.

La triplice cinta come immagine della Gerusalemme celeste, della nostra destinazione finale, la vera dimora in cui non ci sentiremo profughi, precari, esiliati.

«Si può dire, senza timore di sbagliarsi, che lo spiegarsi liturgico nella sua interezza si snoda in un universo di figure e di simboli che richiamano la nostra condizione di esiliati come anche il mistero della nostra appartenenza alla Città di Dio» (Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), La santa liturgia, trad. it., Nova Millennium Romae, Roma 2011). Il primo segno è la gioia, dice dom Gérard. Nella Gerusalemme saremo a casa nella gioia, è una città le cui mura sono fatte di pietre preziose, ci insegna l’Apocalisse, senza templi né candele, perché il tempio è l’Agnello e la gloria di Dio la illumina. Una città le cui mura non sono una debole difesa contro l’ignoto, corrispondono alla struttura profonda della nostra anima, sono la nostra vera dimora, la destinazione finale, la vera libertà che il nostro cuore desidera.

Vorrei suggerire che senza confine non si acquisisce maggiore libertà, la libertà barbarica del sangue, si perde al contrario ogni forma, si soccombe all’universo, alla natura, al Peccato, ma non posso escludere del tutto altre vie a me sconosciute e precluse. San Giovanni, ad esempio, il discepolo prediletto, ha poggiato l’orecchio sul cuore di Cristo, si è completamente immerso nel Mistero, ma è san Pietro che ci è dato come guida. Come si può replicare la mistica? Mi dissero un giorno che il martirio e la mistica sono doni da accettare, non da chiedere. Pietro invece, ci consegna sacramenti e catechismo: questo lo posso capire, posso farne la mia Mappa Mundi, hanno l’aspetto di buone mura per un solido recinto.

Non sono tuttavia le infinite possibilità realizzate che salvano, ma quell’unica perseguita fino in fondo, fino alla Croce e, con la Croce, fino alla Risurrezione.

Il mio pezzo di legno, appunto, da abbracciare, se ce la faccio

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