“Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv, 1,14)
Archivi del mese: dicembre 2009
O Emmánuel
O Emmánuel, Rex et legifer noster, exspectátio géntium, et Salvátor eárum: veni ad salvándum nos, Dómine, Deus noster.
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O Rex géntium
Antifona del 22 dicembre
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O Oriens
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O clavis David
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O radix Iesse
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Una settimana molto intensa
Iniziata lunedì con il concerto natalizio della classe di Giorgio…
O Adonai
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O Sapientia
Antifona del 17 dicembre
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Fiabe classiche e altra letteratura per l’infanzia
Prendo spunto da un interessante intervento sul tema per affrontare un argomento che mi interessa e mi affascina.
Nulla è più profondamente radicato nell’immaginario (e spero anche nell’effettiva prassi) popolare riguardante l’infanzia della lettura serale delle favole ai bambini.
In questo rito della buonanotte c’è prima di tutto il respiro della voce umana, che con il proprio ritmo e con il tono accompagna il passaggio dallo stato di veglia a quello incosciente del sonno. C’è la vicinanza fisica, ci sono i riti serali (il pigiama, lavarsi i denti, preparare gli oggetti della nanna, le preghiere…), c’è la fatica di una giornata che si chiude, c’è il buio che sta fuori, la luce accesa, l’attesa per il giorno che viene.
Le favole classiche rappresentano certamente un modo di nutrire l’infanzia di incanto, di valori, di immaginazione, e amo moltissimo leggerle insieme ai miei figli, spesso la stessa favola per molte sere di seguito, perché anche certi toni della voce, le pause, i gesti, diventano un rito e permettono di assimilare lentamente il mondo parallelo che la fiaba propone.
Ma penso che ci sia anche qualcosa di più… un mondo arcaico e archetipico, un mondo che non può evitare di essere a tratti crudele e spietato e a tratti stereotipato, che racconta di iniziazioni e di passaggi all’età adulta, di battaglie eroiche, di virtù che trionfa e bellezza che incanta. Molti temi delle favole classiche non sono pensati espressamente per bambini: venivano raccontati a memoria (e qui si potrebbe aprire tutto un discorso parallelo sull’oralità…) nelle campagne le sere attorno al fuoco, per divertire e affascinare tutti i membri della famiglia, parlavano (anche se in modo traslato) non solo di nozze e momenti felici, ma di fame, di carestie, di ingiustizie.
In certi momenti mi sono sentita a disagio con alcune favole (e di solito preferisco leggerle da sola prima di proporle ai miei figli), ma in generale preferisco la crudezza e anche il linguaggio impervio delle fiabe originali dei Grimm, alla loro versione edulcorata (nei contenuti) e impoverita (nel linguaggio) proposta –ad esempio – dalla Disney, o da tante riduzioni brutte e sciatte (che spesso cancellano la complessità e l’atmosfera di incanto delle fiabe originali, mantenendone crudeltà e stereotipi). Ciò non toglie che anche in casa mia il dvd di Biancaneve venga visto di tanto in tanto ;)!
Ci sono favole dei fratelli Grimm, come La guardiana delle oche – che abbiamo letto moltissimo -, che mi sembrano avere uno sfondo complesso e interessante; la principessa prima è piuttosto incapace (senza il fazzoletto con il sangue della madre è indifesa), ma poi impara a cavarsela anche come guardiana… fino al momento in cui passa letteralmente da un forno (simbolo quasi alchemico di trasformazione e rinascita), uscendone trasfigurata. A quel punto la sua identità è ristabilita e l’equilibrio delle cose ripristinato.
Un altro libro che abbiamo amato moltissimo è Fiabe russe edito da MottaJunior e illustrato magnificamente da Ivan Bilibine. In questo, come in molti altri casi, le illustrazioni sono un mondo incantato a sé stante.
Trovo che nelle favole classiche più “noir”, i bambini abbiano modo di elaborare in maniera a loro accessibile e in certo senso “rassicurante” gli aspetti oscuri dell’esistenza: la morte, la paura, il male, sono realtà certamente da non buttare addosso ai bambini, ma che non possono neppure essere loro completamente estranee. Possono morire i nonni, un amico o un membro della famiglia può ammalarsi gravemente, l’ingiustizia, per quanto piccola, è spesso presente anche nei rapporti tra fratelli. Le fiabe danno ai bambini l’immaginario con cui elaborare tutti questi elementi senza soccombere emotivamente e anche senza dover essere troppo esposti alla ben diversa durezza della realtà. Il mio discorso non è “devono abituarsi alle bruttezze della vita”, ma -al contrario – non potendo esserne completamente al riparo devono poter trovare l’immaginario, le parole e anche un sistema di valori in cui “inquadrare” ciò che di queste bruttezze filtra fino a loro. Quante volte i bambini fanno domande serissime, quasi urgenti, che riguardano la morte, il male (i miei figli dicono “i ladri”, ma intendono qualunque genere di malvagità), la sofferenza? Certamente vanno rassicurati, ma questi sono temi che non si possono banalizzare, a volte bisogna permettere al bambino, in maniera controllata e circoscritta, di andare al fondo di un dolore, di una paura.
Devono poter apprendere che spesso la gioia finale è il frutto di un lungo lavoro (attivo o passivo, il lavoro dell’eroe che affronta un’avventura, ma anche quello dell’eroe che semplicemente rimane virtuoso fino all’ultimo). Devono, come gli hobbit de Il Signore degli anelli, saper molto gioire e molto soffrire, saper amare la vita tranquilla ed essere pronti all’avventura pur di difenderla.
Per il resto, anche noi amiamo Rodari, Tre fratelli, quaranta ladroni, cinque storie di ladri e burloni: un libro bellissimo illustrato con le favole raccontate in versi da Emanuele Luzzati, così come anche alcune storie di Roberto Piumini (in particolare Chicino e Cicotta, edito da Emme edizioni), queste storie sono fantastiche, divertenti, educative…ma non toccano quel grumo “oscuro” dell’esistenza che a volte tanto inquieta i bambini, servono ad altro e toccano altri ambiti.
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