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Mercoledì delle Ceneri

da L’anno liturgico, di dom Prosper Guéranger

 

L’appello del profeta

Ieri il mondo s’agitava nei piaceri, e gli stessi cristiani si abbandonavano ai leciti divertimenti; ma questa mattina ha squillato la sacra tromba di cui parla il profeta Gioele (v. Epistola della Messa) per annunciare l’apertura solenne del digiuno quaresimale, il tempo dell’espiazione, l’imminente avvicinarsi dei grandi anniversari della nostra salvezza. Destiamoci, cristiani, e prepariamoci a combattere le battaglie del Signore.

L’armatura spirituale.

Ricordiamoci, però, che nella lotta dello spirito contro la carne, dobbiamo essere armati: ecco perché la santa Chiesa ci raccoglie nei suoi templi per iniziarci alla milizia spirituale. San Paolo ce ne ha già fatto conoscere i dettagli della difesa con queste parole: “Siate dunque saldi, cingendo il vostro fianco con la verità, vestiti della corazza della giustizia, avendo i piedi calzati in preparazione al Vangelo di pace. Prendete soprattutto lo scudo della fede, l’elmo della saldezza e la spada dello spirito, cioè la Parola di Dio” (Ef 6,14-17). Il principe degli Apostoli aggiunge: “Avendo Cristo patito nella carne, armatevi anche voi dello stesso pensiero” (1Pt. 4,1).

Ricordandoci oggi la Chiesa questi apostolici insegnamenti, ne aggiunge un altro non meno eloquente, obbligandoci a risalire al giorno della prevaricazione, che rese necessario quelle lotte che stiamo per intraprendere e le espiazioni attraverso le quali dobbiamo passare.

I nemici da combattere.

Noi siamo assaliti da due sorta di nemici: le passioni dentro il nostro cuore, il demonio fuori; entrambi disordini che derivano dalla superbia. L’uomo si rifiutò d’obbedire a Dio; ciò nonostante egli lo risparmiò, ma alla dura condizione di subire la morte: “Uomo, disse, tu sei polvere, ed in polvere ritornerai” (Gen 3,19). Ah! perché dimenticammo quell’avvertimento? A Dio bastò solo premunirci contro noi stessi; compresi del nostro niente, non avremmo mai dovuto infrangere la sua legge. Se ora vogliamo perseverare nel bene, al quale ci ha ricondotti la sua grazia, dobbiamo umiliarci, accettare la sentenza e considerare la vita come un viaggio più o meno breve che termina alla tomba. Sotto questa luce tutto diventa nuovo, ogni cosa si schiarisce. Nell’immensa sua bontà, Dio, che si compiacque riversare tutto il suo amore su di noi, esseri condannati alla morte, ci appare ancor più ammirabile. Nelle brevissime ore della nostra esistenza, l’ingratitudine e l’insolenza con cui ci scagliammo contro di lui ci sembrano sempre più degne del nostro disprezzo, e più legittima e salutare la riparazione che ora ci è possibile e che egli si degna d’accettare.

L’imposizione delle ceneri.

A questo pensava la santa Chiesa, quando fu indotta ad anticipare di quattro giorni il digiuno quaresimale e ad aprire questo sacro tempo cospargendo di cenere la fronte colpevole dei suoi figli, e ripetendo a ciascuno di loro le parole con cui il Signore li condannava alla morte.

Come segno d’umiliazione e penitenza, però, l’uso delle ceneri è molto anteriore a quella istituzione. Infatti lo troviamo praticato fin nell’Antico Testamento. Perfino Giobbe, che apparteneva alla gentilità, copriva di cenere la sua carne dilaniata dalla mano di Dio, per implorare così la sua misericordia (Gb 16,16). Più tardi il Salmista, nell’ardente contrizione del suo cuore, mescolava cenere nel pane che mangiava (Sal 101,10). Analoghi esempi abbondano nei Libri storici e nei Profeti dell’Antico Testamento. Si avvertiva anche allora il rapporto esistente fra la polvere d’una materia bruciata e l’uomo peccatore, il corpo del quale sarà disfatto in polvere sotto il fuoco della giustizia divina. Per salvare almeno l’anima, il peccatore ricorreva alla cenere, e nel riconoscere quella triste fraternità con essa si sentiva più al riparo dalla collera di colui che resiste ai superbi e perdona agli umili.

I pubblici penitenti.

L’uso liturgico delle Ceneri al Mercoledì di Quinquagesima non sembra che in origine sia stato imposto a tutti i fedeli, ma solo ai colpevoli di certi peccati soggetti alla pubblica penitenza della Chiesa. In questo giorno, prima della Messa, essi si presentavano in Chiesa dove stava raccolto tutto il popolo, i sacerdoti ricevevano la confessione dei loro peccati, quindi li vestivano di cilizi e spargevano sulle loro teste la cenere. Dopo questa cerimonia, il clero ed il popolo si prostravano a terra, mentre ad alta voce venivano recitati i sette salmi penitenziali. Successivamente aveva luogo la processione, durante la quale i penitenti camminavano a piedi scalzi. Di ritorno, erano solennemente cacciati fuori dalla Chiesa dal Vescovo, che diceva loro: “Vi scacciamo fuori dal recinto della Chiesa a causa dei vostri peccati e delitti, come fu scacciato fuori dal Paradiso il primo uomo Adamo a causa della sua trasgressione”. Poi il clero cantava diversi Responsori tratti dal Genesi, dov’erano ricordate le parole del Signore che condannava l’uomo ai sudori ed al lavoro sulla terra, ormai maledetta a causa sua. Quindi venivano chiuse le porte della Chiesa, affinché i penitenti non ne passassero più le soglie fino al Giovedì Santo, giorno nel quale ricevevano solennemente l’assoluzione.

Estensione del rito liturgico.

Dopo il XII secolo, la penitenza pubblica cominciò a cadere in disuso; ma l’uso d’imporre in questo giorno le ceneri a tutti i fedeli divenne sempre più generale e prese posto fra le cerimonie essenziali della Liturgia Romana. È difficile dire esattamente in quale epoca si produsse tale evoluzione. Sappiamo solo che nel Concilio di Benevento (1091) Urbano II ne fece un obbligo a tutti i fedeli. L’attuale cerimonia è descritta negli Ordines del XII secolo; le antifone, i responsori e le preghiere della benedizione delle Ceneri erano già in uso fra l’VIII e il X secolo.

Una volta i cristiani si avvicinavano a piedi nudi a ricevere l’ammonimento sul niente dell’uomo, e, ancora nel XII secolo, lo stesso Papa, per recarsi da S. Anastasia a S. Sabina, dov’è la Stazione, faceva tutto il percorso senza calzatura, come pure i Cardinali che l’accompagnavano. Poi la Chiesa mitigò questo rigore esteriore; ma continuò a dare valore ai sentimenti interni che deve produrre in noi un rito così espressivo.

Come abbiamo or ora detto, la Stazione odierna è a Roma, in S. Sabina, sul colle Aventino, aprendosi così sotto gli auspici di questa santa Martire la penitenza quaresimale.

La sacra funzione incomincia con la benedizione delle ceneri, ottenute dalle Palme benedette l’anno prima nella Domenica che precede la Pasqua. La nuova benedizione ch’esse ricevono in questa circostanza ha lo scopo di renderle più degne del mistero di contrizione e di umiltà che stanno a significare.

Per avere ulteriori dettagli sulle norme che regolano digiuno e penitenza, si veda qui.


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